mercoledì 30 gennaio 2013

PRESAGENDO IL "BIG BROTHER"

Ho sognato un film sulle "24 ore" di una coppia qualsiasi, con un qualsiasi mestiere. Alcuni apparecchi misteriosi e nuovi permettono di riprenderli "senza che lo sappiano" con una inquisizione visuale acuta durante queste ventiquattro ore, senza omettere nulla: il loro lavoro, il loro silenzio, la loro vita intima e d'amore. Proiettate il film così com'è senza alcun controllo. Penso che sarebbe una cosa talmente terribile che la gente fuggirebbe spaventata, chiamando aiuto, come davanti a una catastrofe mondiale.
 
Fernand Léger, 1931

giovedì 24 gennaio 2013

COSTA MOLTO ESSERE AUTENTICA

Mi chiamano Agrado, perché per tutta la vita ho sempre cercato di rendere la vita gradevole agli altri. Oltre che gradevole, sono molto autentica: guardate che corpo, tutto fatto su misura! Occhi a mandorla, ottantamila. Naso, duecento, buttate nell'immondizia, perché l'anno dopo me l'hanno ridotto così con un'altra bastonata. Lo so che mi dà personalità, però se l'avessi saputo, non me lo toccavo. Continuo. Tette, due, perché non sono mica un mostro! Settanta ciascuna, però le ho già super-ammortizzate. Silicone nei...
(Dal pubblico: Dove?)
Labbra, fronte, zigomi, fianchi e culo. Un litro sta sulle centomila, perciò fate voi il conto perché io l'ho già perso. Limatura della mandibola, settantacinquemila, depilazione definitiva col laser, perché le donne vengono dalle scimmie tanto quanto gli uomini, sessantamila a seduta, dipende da quanta barba una ha, normalmente da una a quattro sedute. Però se balli il flamenco ce ne vogliono di più, è chiaro. Bene, quello che stavo dicendo è che costa molto essere autentica, signora mia. E in questa cosa non si deve essere tirchi, perché una è più autentica, quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa.
 
Tutto su mia madre, di Pedro Almodóvar, 1999
 

venerdì 11 gennaio 2013

IL TEMPO È MORTO

 
«Ho rotto l'orologio.» Se lo fece saltare sulla mano. «Direi. Deve averlo pestato sotto i piedi.» «Sissignore. L'ho fatto cadere dal comò e al buio l'ho pestato. Va ancora, però. [...] Le spiacerebbe dirmi se tra quegli orologi in vetrina ce n'è uno che segna l'ora giusta?» Aveva il mio orologio sul palmo della mano e alzò lo sguardo a me col suo occhio mobile e sfocato. «Ho fatto una scommessa con un amico» dissi «e stamattina ho dimenticato gli occhiali.» «Ma certo» disse. Depose l'orologio e si levò a mezzo dallo sgabello per guardare oltre la barriera. Quindi alzò lo sguardo alla parete. «Mancano ven...» «Non me lo dica» dissi «per piacere. Mi dica solo se ce n'è uno che segna l'ora giusta.» 
[...] Uscii, chiudendo la porta sul ticchettio. Tornai a contemplare la vetrina. [...] In vetrina c'erano circa una dozzina di orologi, una dozzina di ore diverse e ciascuna con la stessa dogmatica e contraddittoria sicurezza del mio, che non aveva neanche una lancetta. In contraddizione l'uno con l'altro. Lo sentivo bene, il mio, ticchettare dentro la tasca, anche se nessuno poteva vederlo, anche se non poteva dire niente a chi lo avesse visto.
E allora mi dissi di prendere quello. Perchè il babbo diceva che gli orologi ammazzano il tempo. Diceva che il tempo è morto, finchè viene rosicchiato dal ticchettio delle rotelle; solo quando l'orologio si ferma, il tempo torna in vita.
 
William Faulkner, The Sound and the Fury
 

lunedì 7 gennaio 2013

NON ESISTONO PUNK CON LE LENTIGGINI

Nei bagni coperti di graffiti del Mab origliamo le notizie: Ricky Sleeper è caduto dal palco durante un concerto, Joe Rees della Target Video sta facendo un film tutto sul punk, due sorelle che vediamo sempre al Mab hanno cominciato a fare marchette per pagarsi l'eroina. Sapere tutte quelle cose ci rende più simili a dei punk veri, ma non del tutto. Quand'è che una cresta finta diventa una cresta vera? Chi è che lo decide? E, quando succede, come te ne accorgi? Durante i concerti poghiamo sotto il palco. Ci spintoniamo e andiamo a sbattere e cadiamo e ci facciamo tirare su finché il nostro sudore si mescola con il sudore dei punk veri e la nostra pelle ha toccato la loro pelle. Bennie lo fa meno. Secondo me lui ascolta proprio la musica.
Una cosa che ho notato: di punk con le lentiggini non ce ne sono. Non esistono.
 
Jennifer Egan, "Il tempo è un bastardo"

domenica 6 gennaio 2013

INNEGABILE TRADIMENTO

Scalciò via le scarpe e si sbottonò la camicetta, gettandola sul letto accanto ai vestiti di Bennie. Il contenuto delle sue tasche era sparpagliato sul tavolinetto d'antiquariato dove lo lasciava sempre. Stephanie diede un'occhiata a quel che c'era, una vecchia abitudine che le era rimasta dai giorni in cui viveva nel sospetto. Monete, carte di chewing gum, uno scontrino del parcheggio. Mentre si allontanava, qualcosa le rimase appiccicato alla punta del piede nudo. Lo staccò - era una forcina - e si diresse verso il cestino. Prima di lasciarla cadere, le diede un'occhiata: una comunissima forcina dorata, identica a quelle che si trovavano negli angoli delle case di qualsiasi donna di Crandale. Eccetto la sua.
Stephanie rimase immobile con la forcina in mano. I motivi per cui poteva essere finita lì erano migliaia - una festa che avevano dato, amici saliti a usare il bagno, la donna delle pulizie - ma Stephanie capì a chi apparteneva come se lo sapesse già, come se non lo stesse scoprendo ma semplicemente ricordando. Si mise a sedere sul letto in gonna e reggiseno, accaldata e tremante, sbattendo le palpebre sbigottita. Ma certo. Non ci voleva molta fantasia per capire come tutto era coinciso: dolore, vendetta, potere, desiderio. Era andato a letto con Kathy. Ma certo.

 
Jennifer Egan, "Il tempo è un bastardo"
 

martedì 1 gennaio 2013

LO SQUILLARE DEL TELEFONO: SOLITUDINE E ASPETTATIVA

Una telefonata non è soltanto più immediata di una lettera, ma è più imprevedibile, poichè il telefono può squillare in un qualsiasi momento: è una sorpresa ed è perciò più dirompente, richiede un'attenzione immediata. Il modo attivo è rafforzato per chi chiama, che senza il protrarsi del ritardo della comunicazione scritta può fare accadere le cose immediatamente, mentre l'effetto invadente dello squillare aumenta il modo dell'aspettativa per il ricevente, costringendolo a fermarsi e a rispondere, qualunque cosa stia facendo: è sospinto in un ruolo passivo, poichè chi chiama può prepararsi per la conversazione e dominarla fin dall'inizio.
[...] Le valutazioni sul telefono si dividevano tra ottimisti e pessimisti, e coloro che ne avevano un'opinione favorevole di solito avevano in mente colui che effettua la chiamata. I pessimisti descrivevano chi riceve la chiamata in primo luogo come tenuto in sospeso nell'attesa, e poi messo in agitazione dall'intrusione. In effetti, l'attesa dello squillare del telefono divenne un simbolo di solitudine e dell'essere indifeso nel modo dell'aspettativa.
 
Stephen Kern, "Il tempo e lo spazio. Le percezione del mondo tra Otto e Novecento"