venerdì 11 gennaio 2013

IL TEMPO È MORTO

 
«Ho rotto l'orologio.» Se lo fece saltare sulla mano. «Direi. Deve averlo pestato sotto i piedi.» «Sissignore. L'ho fatto cadere dal comò e al buio l'ho pestato. Va ancora, però. [...] Le spiacerebbe dirmi se tra quegli orologi in vetrina ce n'è uno che segna l'ora giusta?» Aveva il mio orologio sul palmo della mano e alzò lo sguardo a me col suo occhio mobile e sfocato. «Ho fatto una scommessa con un amico» dissi «e stamattina ho dimenticato gli occhiali.» «Ma certo» disse. Depose l'orologio e si levò a mezzo dallo sgabello per guardare oltre la barriera. Quindi alzò lo sguardo alla parete. «Mancano ven...» «Non me lo dica» dissi «per piacere. Mi dica solo se ce n'è uno che segna l'ora giusta.» 
[...] Uscii, chiudendo la porta sul ticchettio. Tornai a contemplare la vetrina. [...] In vetrina c'erano circa una dozzina di orologi, una dozzina di ore diverse e ciascuna con la stessa dogmatica e contraddittoria sicurezza del mio, che non aveva neanche una lancetta. In contraddizione l'uno con l'altro. Lo sentivo bene, il mio, ticchettare dentro la tasca, anche se nessuno poteva vederlo, anche se non poteva dire niente a chi lo avesse visto.
E allora mi dissi di prendere quello. Perchè il babbo diceva che gli orologi ammazzano il tempo. Diceva che il tempo è morto, finchè viene rosicchiato dal ticchettio delle rotelle; solo quando l'orologio si ferma, il tempo torna in vita.
 
William Faulkner, The Sound and the Fury
 

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