domenica 24 febbraio 2013

IL DESIDERIO DI ESSERE L'ALTRO

Per il soggetto, l'oggetto non è che un mezzo per raggiungere il mediatore. È all'essere del mediatore che mira il desiderio. Il soggetto che desidera vuole trasformarsi nel mediatore, vuole carpirgli l'essere (è il desiderio atroce di essere l'altro).
L'eroe dostoevskiano, come l'eroe proustiano, sogna di assorbire, di assimilare l'essere del mediatore. Vuole diventare l'altro senza cessare di essere se stesso. Per voler fondersi a tal punto nella sostanza dell'altro, bisogna provare per la propria una ripugnanza insuperabile. L'uomo del sottosuolo è realmente misero e malaticcio, Madame Bovary è una piccola borghese di provincia. Si capisce perchè questi eroi desiderino cambiare essere. Il narratore proustiano, all'inizio di "Dalla parte di Swann" ci dice:
Tutto ciò che non era me, la terra e le creature, mi pareva più prezioso, più importante, provvisto di una esistenza più reale.
Non è la società che fa dell'eroe del romanzo un intoccabile: è lui che condanna se stesso. Perchè la soggettività romanzesca odia a tal punto se stessa? Tutto parte dal principio base delle dottrine principali: Dio è morto, tocca all'uomo prendere il suo posto. Tutti gli uomini, però, scoprono nella solitudine della loro coscienza che non sono in grado di portare avanti questo impegno. Ciascuno si crede l'unico escluso dal retaggio divino e si sforza di nascondere la maledizione. Il peccato originale diventa, dunque, il segreto di ciascun individuo. Ciascuno si crede solo all'inferno e l'inferno è proprio questo, il ripetersi "Io sono solo, mentre loro sono tutti!".
L'eroe si rivolge allora all'altro, che sembra fruire, lui sì, del retaggio divino.
Prendiamo ad esempio "I demoni" di Dostoevskij. Stavroghin è il mediatore verso cui tendono tutti i personaggi del romanzo. Da Stavroghin i Posseduti hanno preso le idee e i desideri; a Stavroghin dedicano un vero e proprio culto. Tutti provano di fronte a lui quell'insieme di venerazione e di odio; lo attendono come il "sole"; stanno davanti a lui come "davanti all'Altissimo"; gli parlano "come a Dio stesso". "Voi sapete" dice Satov a Stavroghin "che bacerò l'orma dei vostri piedi quando sarete uscito. Non posso strapparvi dal mio cuore, Nicolai Stavroghin."
 
Riflessioni nate dalla lettura di "Menzogna romantica e verità romanzesca" di René Girard

giovedì 21 febbraio 2013

Desiderio, vanità e odio. Il ruolo del mediatore nel "desiderio triangolare"

L'esistenza cavalleresca è l'imitazione di Amadigi, come l'esistenza del cristiano è imitazione di Gesù Cristo. Noi chiameremo questi modelli mediatori del desiderio. Don Chisciotte ha rinunciato, in favore di Amadigi, alla fondamentale prerogativa dell'individuo: non sceglie più gli oggetti del suo desiderio, è Amadigi che deve scegliere per lui.
Emma Bovary desidera per il tramite delle romantiche eroine che le riempiono la fantasia; le mediocri letture fatte durante l'adolescenza hanno distrutto in lei ogni spontaneità. Gli eroi flaubertiani si propongono un modello e imitano, del personaggio che hanno deciso di essere, tutto quello che è possibile imitare, tutta l'esteriorità, tutta l'apparenza, il gesto, l'intonazione, l'abito.
Ma i personaggi di Flaubert e Cervantes imitano, o credono di imitare, anche i desideri dei modelli che essi hanno liberamente scelto.
Stendhal denomina vanità tutte queste forme di imitazione: il vanitoso non può attingere i desideri ai propri fondi personali, ma li prende in prestito da altri. Il vanitoso è dunque fratello di Don Chisciotte e di Emma Bovary.
Perchè un vanitoso desideri un oggetto, basta convincerlo che tale oggetto è già desiderato da un terzo al quale si attribuisce un certo prestigio. Nella maggior parte dei desideri stendhaliani, anche il mediatore desidera l'oggetto, o potrebbe desiderarlo: è appunto questo desiderio, reale o presunto, che rende l'oggetto immensamente desiderabile agli occhi del soggetto. Si tratta, in pratica, di due desideri concorrenti. Il mediatore non può fare la parte di modello senza contemporaneamente fare, o sembrar fare, la parte di ostacolo.
Lo slancio verso l'oggetto è, in fondo, lo slancio verso il mediatore. L'apparente ostilità del mediatore, lungi dall'indebolire il prestigio di questi, non può che accrescerlo. Persuaso che il modello sia a lui troppo superiore per accettarlo come discepolo, il soggetto prova nei confronti del modello stesso un sentimento lacerante formato dall'unione di due contrari: la venerazione più sottomessa e il rancore più profondo. È il sentimento che chiamiamo odio. Soltanto l'essere che ci impedisce di esaudire un desiderio da lui stesso suggeritoci è veramente oggetto di odio.
 
Riflessioni nate dalla lettura di Menzogna romantica e verità romanzesca di René Girard

lunedì 11 febbraio 2013

FRAGILI EQUILIBRI UNIVERSALI

Trovare un significato a ciò che non ne ha. Detta così, può sembrare anche semplice. Cioè, ogni particella dell'universo ha un suo fine. In apparenza le zanzare non hanno senso, a che serve una zanzara? Non è commestibile, è fastidiosa, punge che ti fa venire le bolle, scientificamente bastarda quando lo fa tra le dita dei piedi e passi la notte a grattarti. Se ne potrebbe fare a meno, credo. La zanzara non serve a nulla.
Eppure, se esiste, un motivo ci sarà: farà parte di una catena alimentare, di un progetto ad ampio raggio, di un organigramma ben definito. Talmente ben definito che se sterminiamo la zanzara potrebbe, come conseguenza, estinguersi la razza umana.
Sai te che nei fragili equilibri universali contiamo più un cazzo noi della zanzara. Se così fosse, tutto ha un senso.
 
Gianluca Morozzi/ Heman Zed, "Lo scrittore deve morire", 2012
 

sabato 9 febbraio 2013

LO SCRITTORE DEVE MORIRE (la funzione defrost)

Vuoi sapere com'è nato "Freezer", Tanzi? Come forse sai, "Freezer" racconta di sentimenti congelati. Sentimenti che nascono, ma non maturano, non arrivano a compiere il loro ciclo naturale. Però neanche muoiono. Sono impossibilitati a farlo perché li si tiene in vita, in attesa che la funzione defrost li sciolga e possano così completare il ciclo. Per quanto tempo possono rimanere congelati? Questo non lo so. Tu prendi un po' d'amore o un po' d'odio o di pietà e li surgeli. Poi, al paro di un branzino o di una costata, non sai quando li tirerai fuori dal freezer per mangiarli e chiuderne il percorso. Può passare una settimana, un mese, un anno, nel frattempo ti dimentichi di carne e pesce perché sei diventato vegano ed ecco che il giorno della tua morte lascerai al mondo un branzino e una costata surgelati. I parenti consegneranno tutto all'inceneritore, ma tu, Tanzi, tu generico, chiaro, li hai condannati a non conoscere il defrost e di conseguenza gli hai negato il fine ciclo. Potrai mai perdonarti? Nel mio caso, finché sei in vita te ne sbatti, poi quando muori hai altro da pensare. Sì, convengo che il concetto non è semplice, l'ora è tarda e manca la lucidità, però ci siamo capiti, no? Ho usato apposta la metafora alimentare per spiegarti meglio.
 
Gianluca Morozzi/ Heman Zed, "Lo scrittore deve morire", 2012
 

venerdì 1 febbraio 2013

SARTRE, CALVINO: CINEMA E LETTERATURA

Eravamo, io e il cinema, della stessa età mentale; io avevo sette anni e sapevo leggere, lui ne aveva dodici e non sapeva parlare. Si diceva che era agli inizi, che era destinato a fare progressi; pensavo che saremmo cresciuti insieme. Non ho dimenticato la nostra infanzia comune: quando mi offrono una caramella inglese, quando una donna, vicino a me, si dà la lacca sulle unghie, quando respiro, nei gabinetti d'un albergo di provincia, un certo odore di disinfettante, quando in un treno notturno guardo sul soffitto il lumicino violetto, ritrovo nei miei occhi, nelle mie narici, sulla mia lingua, le luci e i profumi di quelle sale scomparse; quattro anni fa, al largo delle grotte di Fingal, in piena burrasca, udivo un pianoforte nel vento.
Jean-Paul Sartre
 
Cinema vuol dire sedersi in mezzo a una platea di gente che sbuffa, ansima, sghignazza, succhia caramelle, ti disturba, entra, esce, magari legge le didascalie forte come al tempo del muto; il cinema è questa gente, più una storia che succede sullo schermo.
Italo Calvino