domenica 12 maggio 2013

L'OROLOGIO DA CUCINA _ Wolfgang Borchert

Se lo videro venire incontro già da lontano, perché era un tipo che dava nell’occhio. Aveva una faccia molto invecchiata, ma da come camminava si vedeva che doveva avere solo vent’anni. Si sedette con la sua faccia da vecchio accanto a loro sulla panchina. E poi mostrò quello che teneva in mano.
 
Era l’orologio della nostra cucina, disse guardando uno per uno quelli che se ne stavano seduti lì al sole sulla panchina. Sì, l’ho potuto ritrovare. Lui si è salvato.
Teneva in mano davanti a sé un orologio da cucina rotondo e bianco come un piatto e ne toccava leggermente con le dita i numeri dipinti in blu.
Non che abbia valore, disse come scusandosi, lo so bene anch’io. E non è neanche particolarmente bello. Ha solo l’aspetto di un piatto, così smaltato di bianco. Ma trovo che i numeri blu ci stiano proprio bene. Naturalmente le lancette sono soltanto di latta. E adesso non funzionano nemmeno più. No. Di dentro è rotto, questo è certo. Ma sembra sempre quello di una volta. Anche se adesso non funziona più.
Con la punta delle dita, delicatamente, tracciò un cerchio lungo tutto il bordo del suo orologio-piatto. E disse sottovoce: e lui si è salvato.
Quelli che se ne stavano al sole sulla panchina non lo guardarono. Uno si osservava le scarpe e la donna guardava nella sua carrozzella.
Poi qualcuno disse:
Hai perduto tutto, eh?
Già, è così, disse lui lieto, ma pensi, proprio tutto! Solo questo si è salvato, questo qui. E sollevò di nuovo in alto l’orologio come se gli altri non lo conoscessero ancora.
Ma non funziona più, disse la donna.
No, no, lo so. È rotto, lo so bene. Ma per il resto è rimasto identico a prima: bianco e blu. E mostrò loro ancora il suo orologio. Ma quel che è più bello, continuò lui tutto eccitato, non ve l’ho ancora raccontato. Il più bello deve ancora venire: pensate, è rimasto fermo alle due e mezzo. Proprio alle due e mezzo, pensate.
Allora vuol dire che la sua casa è stata colpita certamente alle due e mezzo, disse l’uomo sporgendo con importanza il labbro inferiore. L’ho sentito dire spesso. Quando la bomba vien giù, gli orologi si fermano. Per la pressione.
Lui guardò il suo orologio e scosse la testa con aria di superiorità. No, caro signore, no, qui lei si sbaglia. Questa volta le bombe non c’entrano. Non deve sempre parlare delle bombe. No. Alle due e mezzo accadde tutt’altra cosa, solo che lei non lo sa. Il buffo è appunto questo, che si è fermato proprio sulle due e mezzo. E non alle quattro e un quarto o alle sette. Era proprio alle due e mezzo che io venivo sempre a casa. Di notte, voglio dire. Quasi sempre alle due e mezzo. Questo è appunto il buffo.
Guardò gli altri, ma quelli avevano distolto da lui i loro occhi. Non li incontrò. Allora fece un cenno al suo orologio: a quell’ora naturalmente avevo fame, non è vero? E andavo sempre difilato in cucina. Là erano quasi sempre le due e mezzo. E poi, poi ecco che veniva mia madre. Per quanto piano potessi aprire la porta, lei mi ha sentito sempre. E ogni volta che io cercavo qualcosa da mangiare nella cucina buia, s’accendeva improvvisamente la luce. Ed ecco che lei se ne stava lì nella sua giacca di lana e con una sciarpa rossa intorno al collo. E a piedi nudi. Sempre a piedi nudi. E sì che la nostra cucina aveva un pavimento in piastrelle. E i suoi occhi si facevano piccoli piccoli, perché la luce era troppo forte per lei. E perché aveva già preso sonno. Era notte, infatti.
Di nuovo così tardi, diceva poi. Di più non diceva. Soltanto: di nuovo così tardi. E poi mi scaldava la cena e mi stava a guardare mentre mangiavo. Sfregandosi sempre i piedi l’uno sull’altro, perché le piastrelle erano così fredde. Lei di notte non si metteva mai le scarpe. E rimaneva seduta accanto a me fino a che non mi fossi saziato. E poi la sentivo ancora mettere via i piatti, quando io nella mia camera avevo già spento la luce. Ogni notte era così. E per lo più sempre alle due e mezzo. Io trovavo del tutto normale che lei mi preparasse da mangiare in cucina alle due e mezzo di notte. Lo trovavo del tutto normale. Lo aveva sempre fatto, no? E non ha mai detto niente di più che: di nuovo così tardi. Ma questo lo diceva ogni volta. Ed io pensavo che sarebbe sempre stato così. Lo trovavo così normale. Era sempre stato così.
Per un attimo ci fu silenzio sulla panchina. Poi lui disse piano: e adesso? E guardò gli altri. Ma non poté incontrare i loro occhi. Allora disse nella rotonda faccia bianca e blu del suo orologio: adesso, adesso sì che lo so, quello era il paradiso. Il vero paradiso.
Sulla panchina c’era un gran silenzio. Poi la donna domandò: e la sua famiglia?
Lui le sorrise impacciato: ah, vuol dire i miei genitori? Sì, loro pure sono scomparsi. È scomparso tutto. Tutto, si immagini un po’ lei. Tutto scomparso.
Sorrise impacciato ora all’uno ora all’altro. Ma quelli non lo guardavano.
Allora sollevò di nuovo in alto l’orologio e rise. Disse ridendo: solo questo qui. Lui si è salvato. E il più bello è che è rimasto fermo proprio sulle due e mezzo. Proprio sulle due e mezzo.
Poi non disse più nulla. Ma la sua faccia era molto invecchiata. E l’uomo che gli stava seduto accanto si guardava le scarpe. Ma non le vedeva, le sue scarpe. Pensava continuamente alla parola paradiso.


Wolfgang Borchert

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