Un pomeriggio, io ed alcuni amici passeggiavamo sotto i portici. Pioggia e risate. Adele era al mio fianco. «Franca, sai cosa significa soffiare il fumo sul viso di una persona? Significa che sei attratta da lei» – presi un tiro di sigaretta e mi liberai del fumo sul viso di un amico. Lo feci per animare la passeggiata, sapendo che si sarebbero tutti divertiti. Improvvisamente, però, Adele mi afferrò per il collo e, dopo avermi tratta a sé, mi baciò. Non fu tenero, né appassionato. Fu al centro dell’attenzione, ma non fu plateale. Fu rabbia, gelosia, furore allo stato puro. Tuttavia – il primo bacio più romantico di cui ricordi. Giorni, settimane a studiare e conoscersi. «Franca, sai dov’è Adele?» «Prepara un esame». Durante il giorno, frequentavamo le lezioni o studiavamo; la sera la trascorrevamo spesso insieme a bere a casa mia – un appartamento che dividevo con due ragazzi. Era il momento della giornata che preferivo; sedevo per terra con la schiena poggiata al letto, sfogliavo qualche libro e lasciavo che scie di fumo riempissero la stanza. Lei stava sul mio letto a riflettere, forse, o più semplicemente a riposare – nessuno ha mai capito cosa le passasse per la testa. Di tanto in tanto una parola.
Era il Paradiso. Sebbene io non fossi mai stata un tipo religioso, sapevo allora che, se un Paradiso fosse esistito, avrebbe avuto la forma della mia stanza e avrebbe odorato di Lucky Strike.
Ancora singhiozza la radio e la voce dello speaker si percepisce appena. Una bella città, quando piove, diventa malinconica; una brutta città diventa squallida. La pioggia ha il potere di rivelare l’essenza più profonda delle cose.
Una sera, io e Adele osservavamo la pioggia disegnare arabeschi sui vetri della mia finestra. Tra le gocce posatesi sul vetro, ognuna sceglieva la sua preferita e gareggiavamo per indovinare quale sarebbe scesa più velocemente. D’un tratto Adele disse: «Franca, un giorno sposerò un uomo ricco e affascinante. Non avrò bisogno di lavorare: lui mi ricoprirà di doni». Reagii alla sua affermazione passando attraverso tre fasi: subito fu la stizza a prevalere, ero indispettita dalla noncuranza con cui faceva progetti sul futuro. Poi fu la consapevolezza che quanto diceva probabilmente corrispondeva a realtà: non avrebbe stonato la sue esile figura tra le braccia di un abbiente galantuomo. Infine, il compiacimento: godevo della compagnia di una persona che chiunque avrebbe ricoperto volentieri di doni! Lei era il mio dono. Non passò molto che Adele divenne la mia musa, il mio poeta, la mia arte. Me ne resi conto quando, in un sms, le scrissi: ormai il tempo per me è scandito dai nostri appuntamenti. E infatti quando, accompagnatola a casa, la lasciavo e percorrevo le tristi – seppur così colorate! – traverse di Bologna, il mio desiderio era sempre quello di voltarmi e correrle di nuovo incontro. “Un ultimo abbraccio – pensavo - solo uno, poi me ne andrò serena”; ma Dio solo sa quanto è abile l’animo umano a trovare giustificazioni per i suoi vizi, quindi, rassegnata, riprendevo a camminare.
Credo di non aver mai vissuto un periodo tanto prolifico dal punto di vista della scrittura. Presto tutte le mie bozze si popolarono di impavide eroine, baci e amori proibiti. Mi cimentai persino nel disegno, un’arte che non mi competeva. Ciò avvenne una sera in cui Adele non venne a farmi visita; con un’intraprendenza che stupì anche me, iniziai a riprodurre i suoi lineamenti su un foglio. Vedevo delinearsi sotto la mia mano il suo viso. Solo una cosa mi turbava: il dover ricreare le sue labbra. Titubavo allora nel disegnarle perché temevo di rovinarne l’essenza. Sorrido adesso che, ad anni di distanza – e tante prove! – saprei tracciarne a memoria il perimetro.
Infanta, una mattina grigia a Bratislava/ passeggeremo io e te a braccetto/ – i piccioni intirizziti/ Tu nella tua pelliccia blu/ io silenziosamente osservandoti… Non progettavo il nostro avvenire. In realtà, non ho mai creduto che io e lei insieme avremmo avuto un futuro. Fantasticavo con l’ingenua spontaneità con cui due novelli sposi immaginano di mettere su famiglia. Dentro di me, però, ero lucida: avevo la certezza che non sarei stata al suo fianco a lungo. Pregustavo, in un certo senso, la gioia della sofferenza dell’abbandono. Quasi mi obbligavo a portare il mio affetto a livelli sempre più alti, in modo tale da farmi più male nella caduta, quando tutto sarebbe finito. Perché, era chiaro, il nostro rapporto sarebbe cessato un giorno o l’altro. E non sarebbe cessato nella maniera in cui terminano le normali storie. Non ci sarebbe stato un violento litigio, né una decisione presa consensualmente a tavolino. Non ci sarebbe stata neppure la confessione di un tradimento. No: una relazione come la nostra era destinata a sgretolarsi lentamente, a divenire cenere e a svanire senza lasciare traccia.
«Cos’ha fatto la tua Adele? Ha la mano fasciata!» «Nulla… si è tagliata mentre affettava il pane» e provavo un certo gusto nel mentire. Perché Adele per me aveva la mano fasciata. Una sera di dicembre, mi rifiutai di vederla perché necessitavo di un po’ di solitudine. Durante la notte, mi squillò il telefono: «Franca… mi sono incisa l’iniziale del tuo nome sul dorso della mano. Ovunque e in qualsiasi momento la porterò con me. Mi conforta questa effe come la promessa, che pure odio, che avrò forza abbastanza, che ci sarò. Franca, non sono impazzita…». «Dove sei? Arrivo.».
Se Adele mi amava? Ancora oggi non saprei dirlo con certezza. Di sicuro, amava che io popolassi la sua solitudine – e di questa sua concessione io approfittavo per nutrire il mio cuore.
Una sera trovai Adele più distratta del solito; continuavano ad arrivarle messaggi sul cellulare, ai quali rispondeva freneticamente. Talvolta sorrideva mordendosi il labbro inferiore. Da questi piccoli indizi dedussi che qualcosa stava cambiando e che presto la nostra pace sarebbe stata violata. Da lì a qualche tempo, infatti, la conferma: Adele mi confessò, con tono entusiasta e al contempo incerto, «Ho conosciuto uno… un Poeta!». Le risposi che doveva essere davvero bellissimo quel Poeta visto che da giorni non faceva che precipitarsi al telefono per controllare che non fossero arrivati suoi nuovi messaggi «… sinceramente, Adele, portarsi il cellulare anche in bagno è da paranoici!». «Tu non capisci, Franca! Credo di essermi innamorata! Lui mi ha chiesto di fidanzarci! Devo ancora pensarci bene». «Hai ragione: non capisco.». Capivo benissimo invece – avevo compreso tutto già da parecchio tempo. Sapevo anche che non avrei più rivisto Adele. «Franca… io torno a casa. Sarò molto impegnata con lo studio in questi giorni, quindi credo che non ci vedremo…’notte».
Sperimentai per la prima volta cosa volesse dire non sentire Adele per un’intera settimana. Più tempo lasciavamo passare, più era evidente che ci stavamo sforzando di evitare di affrontare la situazione. Paradossalmente, però, accade che a volte le cose valgano di più in absentia : nessuno si stupirebbe di trovare su un dizionario i termini “negro”, “cieco”, “puttana”, nonostante siano ad alto tasso discriminatorio; al contrario, la loro assenza si farebbe notare moltissimo. Così io e Adele mantenevamo un ostinato silenzio, ma risultava assordante. Una sera, mi decisi a lasciarle un biglietto nella cassetta delle lettere:
“È amore quello che provo per te? Forse sì, nella sua forma più pura. Forse affatto.
Ami il tuo poeta? Forse sì – o forse hai sbagliato tutto.
Non abbandonarlo il tuo poeta. Ne avresti il rimorso per tutta la vita. Franca”
«Franca tesoro, hai finito di sistemare i ricordi di viaggio di là?». La figura di Elena si affaccia sulla soglia della porta: avvolta da un maglione rosa a maglie larghe e un metro in mano, è la tenerezza in persona. È anche migliore di ogni eroina che sia riuscita ad immaginare da giovane: è riuscita a farmi desiderare la stabilità affettiva. Con l’intenzione d’iniziare una convivenza, abbiamo preso in affitto questo appartamento, ancora da finire di arredare. «Se hai finito, vieni e provati il vestito per domani», aggiunge bonaria. Non ho dimenticato che domani abbiamo un matrimonio importante a cui andare. Sebbene si dica “sposa bagnata, sposa fortunata”, spero che la pioggia cessi presto. Il ricevimento rischierebbe, altrimenti, di rovinarsi. Mentre alla radio il dj lancia l’ultimo successo della stagione, estraggo da uno scatolone il regalo di matrimonio, ancora da incartare. È un libro – troppo semplice come dono di nozze? Titolo: La sciagurata rispose. Autore: Franca Canali. Dedicato alla mia Adele e al suo Poeta.